“L’avv. Federico Caffi, componente del Consiglio direttivo di Arlino, ricorda il padre avv. Mario Caffi, socio fondatore e presidente di Arlino:

Da Bergamonews:

A un anno dalla scomparsa dell’avvocato, il figlio Federico racconta quanto è stato importante per lo studio di via Verdi ma anche per l’impegno sociale la figura di suo papà Mario.
A un anno dalla scomparsa dell’avvocato, il figlio Federico racconta quanto è stato importante per lo studio di via Verdi ma anche per l’impegno sociale la figura di suo papà Mario.

Da mio padre Mario Caffi
prendo il testimone
ma conquisterò i miei spazi

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Al termine della messa in suffragio torno a casa con Benedetta, la ragazza che oggi è mia moglie. In quell’occasione si crea – in modo del tutto casuale – l’opportunità di presentarla a mio padre, Mario Caffi. Benedetta è intimorita, come avviene in queste occasioni. Ma Mario – che non ho mai, se vogliamo curiosamente, chiamato papà – quando entriamo in casa spoglia la giacca, si slaccia la cravatta e mi chiede una birra. Parla con Benedetta per un’ora abbondante bevendo una birra direttamente dalla bottiglia. Memorabile. Ecco, era così, straordinario, semplice e con la capacità di far sentire immediatamente a suo agio il proprio interlocutore”.

Questo è l’aneddoto che Federico Caffi racconterà a suo figlio, che nascerà fra meno di un mese, per spiegargli chi era il nonno.

A un anno dalla scomparsa ricordare l’avvocato Mario Caffi nel suo studio di via Verdi crea timore da una parte e aiuta dall’altra. La saletta è la stessa dove lo avevamo incontrato qualche volta. Dall’altra parte del tavolo questa volta c’è Federico Caffi, avvocato, socio dello studio Caffi Maroncelli e Associati. Modi eleganti e premurosi, sguardo attento e lo stesso sorriso del papà.

Mario Caffi era un uomo impegnato, sia dal punto professionale con lo studio e l’Università che per il suo impegno sociale. Com’è stato raccogliere il suo testimone?

Mario ha fatto molto per Bergamo, ma direi di iniziare da quello che occupa maggiormente il mio tempo che è lo studio (specializzatosi negli anni in arbitrati, riorganizzazioni societarie, crisi d’impresa…). La storia ormai è conosciuta, Mario fonda il proprio studio legale nel 1966 e decide successivamente – fra i primissimi professionisti in città e con un’idea molto lungimirante – di creare uno studio professionale strutturato, associando degli avvocati più giovani. Io arrivo nel 1998 e vengo associato nel 2003, in una vera e propria squadra che è anche una famiglia.

A un anno di distanza che cosa è cambiato qui?

Dopo la morte di mio padre, i rapporti tra noi soci – Claudio Maroncelli, Alessandro Cainelli, Emanuele Cortesi, Ernesto Suardo – benché fossero già eccellenti prima, si sono ulteriormente consolidati. E questo penso sia il modo migliore per rendere omaggio a Mario perché ha avuto un’idea imprenditoriale brillante, ma ha anche scommesso sulle persone giuste da un punto di vista non solo giuridico, ma anche umano. Ci troviamo a distanza di un anno ormai, stiamo portando avanti una squadra, io infatti non porto avanti nulla da solo, siamo cinque soci che nel solco creato da mio padre proseguiamo il suo lavoro con grande armonia, ognuno con la propria testa e la propria personalità, perché non esistono cloni per fortuna.

Lo studio come una squadra. Come ha scelto i soci?

La scelta è stata di persone che stimava professionalmente e con le quali condivideva principi e valori che sono quelli che caratterizzano il nostro lavoro. Partendo dal concetto delle cosiddette mani libere, e del lavorare sempre e comunque in assenza del conflitto di interessi e nella piena tutela dei diritti e degli interessi dei propri clienti, il tutto quindi senza condizionamenti esterni e con assoluta correttezza. Questa è una caratteristica che io vedo in ognuno dei miei soci, oltre che ovviamente la preparazione e la competenza giuridica. Mio padre è stato intelligente nell’identificazione dei soggetti. I valori trasmessi in studio però non sono stati solamente insegnati, ma erano la pratica di tutti i giorni. Mio padre è stato per me un grande amico, un maestro e testimone di ciò in cui credeva.

L’impegno non era però solo professionale, ma aveva anche un’attenzione per Bergamo, per la società. Ce la racconta?

Mario aveva un’attenzione molto particolare e viva sulla città. Non mi piace dire che ho raccolto il testimone, perché non si eredita niente. Secondo me, bisogna saper dimostrare di avere determinate capacità per poter proseguire ciò che chi è venuto prima di te ha creato e/o ha concorso a creare. A partire da Bergamonews, che è una realtà nella quale credo molto per la libertà di espressione e che considero importante per la nostra città. Poi nel volontariato, nell’associazione Arlino, che si occupa dei bimbi e dei ragazzi ipovedenti della quale mio padre era presidente, ho accettato ben volentieri di proseguire nella sua attività.

Come partecipa a queste realta?

Sia in Bergamonews, sia in Arlino ho preferito nel mio stile entrare in punta di piedi, quindi accettare di proseguire, ma non nel ruolo che era di Mario, perché parliamo di due realtà delle quali mio padre era presidente, e rispetto alle quali io non penso in questo momento e lo dico con estrema umiltà, di aver ancora le competenze – oltre che il tempo sufficiente da dedicare – per diventare presidente, nonostante Arlino me l’abbia chiesto espressamente, ma limitandomi a dare il mio apporto facendo parte del consiglio di amministrazione o in quello direttivo.

È subentrato in alcuni ruoli che erano di suo padre. E allora affrontiamo il tema del passaggio generazionale.

Mi rendo conto che il passaggio generazione, e lo dico da un punto di vista professionale, è un tema complesso e rispetto al quale gli imprenditori bergamaschi sono ancora abbastanza impreparati. Vedo, da qualche tempo, che qualche società inizia ad affrontare il tema. È un argomento difficile e complesso, con risvolti anche umani molto delicati. Ma è indispensabile in tutte le società, soprattutto di carattere famigliare. Non si può pensare che chi venga dopo di te, avendo una testa diversa dalla tua, riesca a replicare o proseguire l’attività che tu hai fatto. E stabilire delle regole aiuta a prevenire dei conflitti che possono essere molto accentuati, conflitti che rischiano di avere come conseguenza ultima la distruzione di ciò che è stato creato dalla generazione precedente.

Parliamo di cambio generazionale e parliamo anche di politica, che piaceva a suo padre. In questo ultimo anno, abbiamo cambiato il presidente del Consiglio. Renzi ha fatto del cambio generazionale un cavallo di battaglia. Che cosa ne pensa?

Umanamente Renzi mi è simpatico, è una persona che gode della mia stima per quanto fatto fino adesso, soprattutto per aver dimostrato il desiderio di cambiare in meglio il nostro Paese. Sono favorevole al rinnovamento in ogni settore, purché sia un rinnovamento ragionato, basato su fondamenta stabili.

Nessuna critica?

L’unica critica che riservo al Presidente del Consiglio è quella dell’uso improprio dei termini rottamazione o rottamatore che considero di per sé sbagliati. Chi ci ha preceduto non va necessariamente messo in un angolo e criticato in modo aprioristico. Anzi, abbiamo visto da un punto di vista politico, che – dopo il periodo di Mani Pulite ed i successivi vent’anni di governo Berlusconi – inventarsi politici non è possibile. Tutt’ora non mi vergogno a dirlo: rimpiango alcuni dei politici della Prima Repubblica, i quali, sia pure con i propri difetti, erano quantomeno politici veri.

Che cosa intende?

Erano politici che avevano una formazione, una preparazione e soprattutto facevano della politica il loro lavoro. Mi piace aggiungere un passaggio. Mio figlio che nascerà il prossimo ottobre, lo chiamerò Filippo Maria. Anche perché una delle persone che stimo maggiormente è Filippo Maria Pandolfi. Amico di famiglia nostro, nonostante fosse di una generazione diversa rispetto a mio padre, che ho avuto la fortuna di incontrare nuovamente poco tempo fa, anche per annunciargli che mio figlio si chiamerà come lui. E quando ci rendiamo conto che Mani Pulite ha – sia pure indirettamente, nel caso di specie – portato e/o concorso a portare via dal panorama politico un uomo come Pandolfi non posso che essere dispiaciuto.

Lo vedrebbe ancora bene in politica?

Pandolfi – così ho avuto modo di verificare nel corso dell’ultima chiacchierata che avuto con lui – è un uomo con una visione a 360 gradi, una visione politica ed economica mondiale; oltre che di una cultura sconfinata. Questa è la cosa incredibile. Una persona che è riuscita a stare al passo coi tempi, non un puro teorico, è una persona che se avesse la voglia di diventare consigliere del premier, credo sarebbe uno straordinario vantaggio per il governo Renzi e soprattutto per il nostro Paese.

Insomma, favorevole al passaggio generazionale con la saggezza di chi ci ha preceduto?

Dirò di più, riferendomi al Gruppo Ubi Banca. Il passaggio generazionale che è avvenuto con la nomina dell’ingegner Andrea Moltrasio, in qualità di presidente, e con il ringiovanimento di tutto consiglio di sorveglianza l’ho accolto – così come la maggioranza dei soci della banca – in modo molto positivo. Considero comunque, che tutto ciò che è stato fatto da chi li ha preceduti, debba comunque essere valorizzato e si debba avere l’opportunità tutt’ora, in caso di dubbio e di incertezza, di confrontarsi con chi ha ricoperto quel ruolo negli anni precedenti, magari anche per ricevere qualche prezioso consiglio.

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